|
Enrique
Cadicamo |
|
Recensioni di Maria
Antonietta Mazzei
La parola "garùa" è legata a diverse culture e civiltà
(spagnola , americana , indigena, alla società rurale
, al tango , al lunfardo)e viene solitamente tradotta
con "pioggerella". Anibal Troilo compose Garùa nel
1943, nel retrobottega del Cabaret Tibidabo (Avenida
Corrientes) ed Enrique Cadìcamo scrisse il testo.
Troilo lo incise per la
casa discografica Victor con il suo cantante Francisco
Fiorentino (4 agosto 1943).In seguito vennero eseguite
altre versioni di grande valore artistico: un'orchestra
di Pedro Laurenz lo registrò con Alberto Podestà per
la casa discografica Odeon (6 agosto) e Mercedes Simone
con l'orchestra Tipica Victor lo incise per la casa
discografica Victor (8 settembre). Nel 1944 Carmen
del Morale lo registrò con l'orchestra di Porfirio
Diaz per la Victor cilena. Sin da una prima lettura
risulta alquanto evidente il ruolo particolare che
la natura assume all'interno di questo tango in cui
il tema (tipico) dell'amore perduto,della donna traditrice,
viene affrontato con una compenetrazione quasi totale
e molto dannunziana tra la natura ed il protagonista.
|
C'è una sorta di panteismo naturalistico
in cui la natura non solo partecipa al dolore del protagonista,
ma essa stessa vive un disagio molto umano: la notte, paragonata
ad un pozzo d'ombre tra cui si aggira il poeta stesso è
piena di astio, il vento porta uno strano lamento, il cielo
si mette a piangere, infine di nuovo il vento, che spinge
quell'ombra tra le ombre. Lentamente e per alcuni istanti
però scompare per identificarsi completamente con il suo
dolore e quindi con il suo cuore che soffre (le gocce diventano
spine). Si arriva dunque al momento cruciale: il cuore viene
colpito dalle spine della pioggia perchè lei lo ha ferito
(con il suo oblio) aprendo uno squarcio che ospita soltanto
il freddo.
Quel buco divenuto pozzanghera
è tanto profondo da penetrare nello spirito come nelle ossa
così da travolgere e sconvolgere interamente il poeta. Laddove
però in D'Annunzio la partecipazione panteistica della natura
è per lo più grandiosa, lucente, lussureggiante (si pensi
a La pioggia nel pineto), in questo caso, invece, l'autore
utilizza una serie di immagini molto forti, grigie, oscure,
malinconiche e tetre che creano un'atmosfera differente:
i verbi strappare e rifiutare, la casa abbandonata e la
pozzanghera, la solitudine della strada con le sue luci
morenti, il poeta che si paragona ad uno scarto.
Così come in D'Annunzio la natura ne potenzia l'esaltazione,
qui la natura accentua lo stato fortemente depressivo dell'autore.
In effetti nella poesia
citata , D'Annunzio ha accanto la sua donna ; nel nostro
tango la donna (come quasi sempre accade) non è presente
e, ancora peggio, ha dimenticato il suo uomo. Dunque in
un testo la pioggia è omaggio della natura che vivifica
l'esperienza erotica; nell'altro il grigiore spirituale
ed esistenziale diventa nuvola e quindi pioggia. Infine,come
in un circolo vizioso, essa ritorna da dove è arrivata,nell'anima
del poeta.