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testo di Massimo Di Marco

Luis Castro

Intervista al famoso ballerino argentino

Luis Castro

l'arte di Luis Castro

tango argentino Luis Castro è cresciuto a Tigre, una città non piccola a nord di Buenos Aires. Ha studiato danza classica, poi folclore, poi teatro drammatico. Intanto imparava il tango con gli occhi nelle milonghe fin quando il tango l'ha preso e l'ha portato davanti a Juan Carlos Copes che è diventato il suo maestro. Un altro è stato Antonio Todaro, un altro è stato Rodolfo Dinzel, ma solo per la parte storica.

Un giorno ha partecipato ad una riunione del sindacato dei ballerini e nei corridoi ha incrociato una ragazza con gli occhi che l'hanno stregato, Claudia Mendoza. Veniva da Quilmes, una città dalla parte opposto di Tigre. Anche lei aveva studiato danza classica e folclore, infine aveva osservato il tango con curiosità. Luis Castro le ha detto quanto gli sarebbe piaciuto che diventasse una sua allieva. Fra Luis e Claudia è cominciata così, undici anni fa. Poi sono iniziati i successi degli spettacoli culminati con For ever Tango, due anni a Broadway e in tutto il mondo.

Questa conversazione è avvenuta a Milano il 28 Novembre, poche ore prima della loro partenza per San Francisco, dopo gli stages all'Università di Catania con 105 allievi, forse un record. E' cominciata in Viale Abruzzi 35 alla Tarantella, il ristorante dei tangueros, ed è continuata in una casa privata. C'erano Claudia e Marina Fuhr mentre Graziella distribuiva piccoli dolci e il rosolio profumato.

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- Quando vi presentate in uno stage davanti ai ballerini sembra che voi li amiate. Perchè?
- Non vogliamo far pesare la nostra posizione di maestri, psicologicamente è importante che questo dislivello fra il maestro e gli allievi venga eliminato. Ma non è una scelta strategica, a noi piace così, creare un clima d'affetto. Se c'è meno soggezione negli allievi, penso che imparino di più.

- Voi siete spesso in Italia per gli stages. Quale idea vi siete fatta del rapporto fra gli italiani e il tango: è quasi naturale, un adattamento più o meno facile ad un ballo, un atteggiamento ?
E' una sfida. Gli italiani sono portati per il ballo, sanno che il tango è difficile e vogliono impararlo. In Argentina non è proprio così, gli argentini non nascono per il ballo, addirittura il ballerino passa per un effeminato. La grande differenza è che gli argentini ballano il tango in modo naturale, ballano come vivono. La camminata degli italiani nella milonga è il risultato di una, forse dieci lezioni. Gli argentini camminano così per la strada.

- In Italia la classe operaia non balla il tango e neanche quella borghese. Che ragione c'è?
- Anche in Argentina è così, penso sia un fatto culturale. In Argentina su 35 milioni di abitanti forse sono 500 mila quelli che ballano il tango. La storia è un po' diversa, il tango è nato come ballo molto popolare ma poi l'aristocrazia l'ha stanato e non l'ha più restituito alla gente umile.

- Si parla di una comunicazione fra i due partner. La sorgente può nascere dall'esecuzione di una figura?

- No assolutamente. La tecnica è solo un mezzo. La relazione è fra me e la musica, è la musica che mi suggerisce la figura. Se non c'è la invento.

- Una coppia di principianti, capaci soltanto di camminare e di andare sul cinque, può ballare un buon tango?

- No, il tango non è così superficiale. La tecnica è importante, due anni di studio impegnato sono il minimo per impadronirsi di una tecnica capace di aiutarci ad esprimerci. Altrimenti non stiamo ballando il tango.

- Da qualche parte, forse in Francia, non è difficile trovare una coppia formata da due donne. Si direbbe che due persone stregate dal tango non debbano necessariamente corrispondere ad una donna e a un uomo. Forse si possono anche immaginare coppie di uomini. E' così?

- No e no. L'incastro naturale è fra un uomo e una donna, altrimenti non è tango. Per me è così. A San Francisco c'è un maestro argentino che insegna tango ai gay, io non lo farei.

- Le passionalità di un uomo e di una donna nel tango sono identiche?
- Si, identiche.

- A Dinzel non piace sentir dire che l'uomo marca, dice che l'uomo propone e adesso si dice che la donna può proporre quanto un uomo nel tango. Sei d'accordo?

- No, non può essere. Il mio ruolo è quello di dare dei comandi, cosa c'è di offensivo? E non concederei mai a una donna la possibilità di proporre qualcosa. No assolutamente. La donna ha il suo lavoro di adorni, nient'altro. Questo non significa che nel mio modo di ballare il tango la donna non sia in una posizione primaria. Io ballo per Claudia.

- Quali sono nel tango i luoghi comuni da cancellare per sempre?
- Qualche volta sento dire che è un ballo per i vecchi. Non è vero. Una coppia di giovani balla in modo diverso da una coppia di vecchi, ci può essere un'energia diversa e una velocità diversa ma nient'altro.

- E' meglio ballare il tango cantato o il tango strumentale?
- Una volta, ai tempi delle orchestre, non si ballava il tango cantato per rispetto del cantante. A me piace anche ascoltare le parole di un tango, mi identifico in qualcuno. In Yra-Yra io mi identifico nella società.

- Ma la musica può smentire le parole?
- E' quasi impossibile. Una musica triste non accetterebbe parole comiche.

- E' meglio ballare con un'orchestra o con un buon cd?
- Con l'orchestra la sensazione è diversa, non è sempre uguale, il cd dà più sicurezza ma l'orchestra dà più emozioni.

- Qual è il tuo tango?
- Il sogno del pibe. Un ragazzo sogna di giocare al pallone, di entrare in una grande squadra, fa un gol e la fa vincere. Io mi ricordo di quando ero quel ragazzo. Invece del gol sognavo il tango ma anch'io volevo vincere.

- Secondo tutti i ballerini la Cumparsita di For ever Tango è la più bella. Chi l'ha arrangiata?

- Lisandro Adrover, il bandoneonista. E' figlio di italiani. A me piace anche la Cumparsita del Sexteto Major con José Libertella e Luis Stazzo al bandoneon. Sono altri due figli di italiani.

- Italiani, italiani. Che cosa pensate in Argentina dell'italianità del tango?

- Noi sappiamo che gli italiani emigrati a Buenos Aires hanno partecipato molto alla nascita e anche alla crescita del tango.

- Si può immaginare che il tango sarebbe magari nato in Italia se non ci fosse stata la necessità di emigrare?
- No, il tango è nato in certe condizioni di vita, in una situazione che c'era solo a Buenos Aires, gli italiani hanno potuto esprimersi all'interno di una società argentina che aveva dei suoi colori come la disperazione, la solitudine. Pensiamo alla solitudine. Un uomo invitava una donna a ballare e cercava tre minuti di felicità con questa donna. La abbracciava e questo abbraccio era l'unica cosa che aveva. Per tre minuti. Poi tornava povero.

- Qual è il passo più bello che hai creato?
- No, io non ho mai creato un passo, semmai attuo la coordinazione di un movimento con un cambio di velocità ma non posso dire che questo modo di ballare sia stato inventato da me. Ecco, io ho un modo di ballare, non uno stile come può essere quello di Dinzel o di Naveira. La mia personalità si manifesta nel movimento. L'obiettivo è ballare nel tempo musicale, ballare sempre dentro la musica. Questa è l'eleganza massima nel tango, è magnifico realizzarla nella milonga.

- L'applauso della milonga è uguale a quello di un teatro?

- E' uguale.

- In una sola parola, cos'è il tango?
- Espressione.

- La nascita del gesto espressivo è nella musica o nella libertà di interpretarla?

- E' nella storia di ognuno di noi, la mia espressione nasce dalle mie emozioni.

- Così, quando nel tango si parla di libertà, si parla di libertà d'espressione?

- Esattamente, esattamente.

- Quando il tango non è tango?
- Quando non ha emozioni. Però bisogna dire delle cose. Sarebbe strano vedere una coppia di argentini senza emozioni, non è così strano se una coppia di svedesi o di norvegesi balla un tango con meno passionalità. Il tango dei giapponesi ad esempio è giapponese e basta. Nella loro cultura c'è l'idea di trattenere ogni sentimento, ridere, piangere. Beh, è un tango un po' diverso.

- E com'è il tuo tango?
- Nella milonga io ballo per Claudia, in un teatro io e Claudia balliamo per il pubblico.

- Tutti i teatri sono uguali?
- Eh no! Se balliamo a Buenos Aires, se balliamo al Teatro Colòn davanti a 3500 persone, quello è il massimo. E' come sentirsi al centro del mondo, capisci?

(Dicembre 2002)

 
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